Uno studio del New York Institute of Technology ha osservato una correlazione tra le vaccinazioni per la tubercolosi (BCG) e la diffusione e la mortalità del coronavirus.
Le differenze tra i vari stati (cultura, assistenza sanitaria, misure restrittive) hanno e stanno causando una diversa diffusione del coronavirus così come dei tassi di letalità differenti (anche tra regioni italiane).
Tuttavia secondo uno studio condotto da Aaron Miller, Mac Josh Reandelar, Kimberly Fasciglione, Violeta Roumenova, Yan Li e Gonzalo H. Otazu ci sarebbe un’altra spiegazione.
Nel loro studio (link in fonte) scrivono che “i paesi che non hanno adottato una campagna di vaccinazioni contro la tubercolosi (Italia, Olanda, USA) sono stati più colpiti [dal coronavirus] rispetto ai paesi che hanno invece campagne di vaccinazioni attive per la tubercolosi a livello nazionale“.
Inoltre “i paesi che hanno cominciato più tardi una campagna di vaccinazione contro la tubercolosi (come l’Iran nel 1984) hanno una mortalità più alta, rafforzando l’idea che la vaccinazione BCG protegge la popolazione più anziana“.
Sempre lo studio scrive che “la vaccinazione contro la tubercolosi sembra ridurre anche i casi di contagio da coronavirus segnalati dai paesi”.
Secondo lo studio “la combinazione di una ridotta mortalità e casi di contagio inferiori potrebbe fare della vaccinazione contro la tubercolosi una nuova arma contro il coronavirus”.
Ogni studio scientifico è valido fino a prova contraria ed è prima di tutto un’ipotesi formulata da questi ricercatori. Prendete dunque quanto scritto come una possibilità ma NON come una certezza. Riportiamo di seguito un riassunto di quanto scritto nel paper (potete leggerlo direttamente nel link a piè di pagina in inglese).
Tubercolosi e Coronavirus: lo studio nel dettaglio
Lo studio comincia sottolineando la situazione totalmente differente tra due paesi: Italia e Giappone.
In Italia, nonostante delle misure restrittive (quasi) ferree, la letalità per coronavirus è ancora molto alta.
In Giappone invece nonostante non siano state prese misure restrittive e nonostante sia stato uno dei primi paesi a rilevare dei casi di contagio al suo interno, il tasso di letalità è sempre stato basso.
Queste differenze sono state sino ad ora spiegate prendendo come riferimento la cultura e gli standard del sistema sanitario differenti.
Questo studio invece la vede in modo differente.
I paesi come la Cina e il Giappone hanno adottato da molto tempo una campagna di vaccinazioni universale contro la tubercolosi.
Altri paesi come la Spagna, la Francia e la Svizzera hanno cancellato le campagne di vaccinazione universali in seguito al basso rischio di contrarre l’infezione, oltre al fatto che fu provata un’efficacia variabile per gli adulti.
Altri paesi come gli Stati Uniti, l’Italia e l’Olanda non hanno ancora adottato campagne di vaccinazioni universali per ragioni simili.

Viola: paesi in cui la vaccinazione BCG era obbligatoria
Verde: paesi con suggerimenti per la vaccinazione BCG per alcune categorie
Fonte: BCG World Atlas
Diversi vaccini, inclusa la vaccinazione per la tubercolosi, hanno dimostrato di produrre effetti immunitari positivi che portano a una migliore risposta contro altri agenti patogeni non micobatterici.
Perché in Cina allora il coronavirus si è diffuso?
Quando ho letto la prima parte dello studio e ho notato che la mappa del BCG World Atlas (compagne di vaccinazioni contro la tubercolosi per paese) indicasse la Cina come uno dei paesi con vaccinazione BCG obbligatoria dagli anni ’50 mi sono fatto due domande sull’affidabilità di questa ricerca.
Tuttavia ho notato che gli stessi ricercatori non hanno omesso una spiegazione in tal senso. Secondo loro c’è una motivazione valida anche per questo.
In Cina infatti durante la rivoluzione culturale (1966-1976), le agenzie per la prevenzione e il trattamento della tubercolosi furono dismesse e abbandonate.
Secondo i ricercatori quindi sarebbe questo ad aver creato dei potenziali “buchi” nel sistema, ossia delle persone meno immunizzate e quindi più facilmente a rischio nonché adatte per la diffusione del Covid-19.
Tuttavia, come cita lo studio stesso, la situazione è migliorata in modo considerevole in Cina, senza contare che non tutto il paese ha subìto le restrizioni di Wuhan e dello Hubei e che quasi tutto il tessuto industriale cinese è già ripartito da qualche settimana.
Insomma sia questo come altri studi che abbiamo pubblicato riguardanti il coronavirus (e che trovati tutti in questa pagina) sono idee e ipotesi fatte in “tempo di guerra”. Solo una volta che la situazione di emergenza sarà finita si potranno avere più certezze e soprattutto dati reali sui quali fare ricerche e studi più completi.
Fonte: medRxiv preprint paper
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