Sono passati vent’anni dalla prima Ipo a Wall Street. Si trattava di Netscape, e non tutti sanno com’è andata a finire. E’ la volta dei social network?
Sono passati vent’anni dal primo insediamento di una “dot com” in Borsa, più precisamente a Wall Street. Era l’inizio dell’era digitale anche nei mercati pubblici, l’inizio di una nuova era che portò a quella bolla che in pochi ricordano: la “grande bolla .com”, quella legata ai titoli che non creavano produzione in sé, ma semplici servizi che il più delle volte non avevano un minimo valore. Titoli gonfiati, giusto per lucrarci sopra per qualche anno e poi farli scoppiare. Ve li ricordati gli ultimi anni ’90 e primi 2000? Netscape fu solo il primo, surclassato (irrispettosamente) da Internet Explorer, che Microsoft metteva ovunque, costringendo alla fin fine i propri utenti ad utilizzarlo. Poi venne il tempo di Geocities (confluita in Yahoo! e poi chiusa nel 2009), eToys, Pets.com. Si salvarono Zynga e Groupon, che tra l’altro sono gli ultimi (per ora) della serie, perdendo oltre la metà del proprio valore.
Facebook ha fatto il suo debutto nel febbraio del 2012. 105 miliardi di capitalizzazione per il colosso dei social network che vale un miliardo di utenti iscritti. Quotazione da paura all’entrata al Nasdaq, gonfiata grazie all’abilità delle banche d’affari (Morgan Stanley è stata multata per aver influenzati gli analisti) e poi crollata nelle ore successive, tanto da doversi fermare ben 26 volte. Ci è voluto più di un anno per recuperare il terreno perso. Oggi vale ben 120 miliardi, con un rimbalzo di oltre 85 punti percentuali rispetto ad inizio anno.
LinkedIn, principale social network del mondo del lavoro, dall’Ipo del maggio 2011 ha quasi triplicato il suo valore pari a 9 miliardi (ora circa 27). Il suo valore è raddoppiato nel corso di quest’anno.
Twitter, ultima ma probabilmente non ultima, è entrata nel mercato pubblico da pochi giorni. Completamente diverso l’esordio rispetto a quello di Facebook, grazie anche ad una quotazione più attenta. Tuttavia la valutazione è pari a 27 volte il fatturato di quest’anno (-$134 mln negli ultimi 9 mesi, -50 mln rispetto al 2012). Il valore attuale è di circa 30 miliardi di dollari. Il social network dell’uccellino detiene circa 200 milioni di utenti attivi, niente rispetto al miliardo di Facebook. Senza contare inoltre che l’exploit a livello mediatico c’è già stato e che in molti paesi è in calo costante, come dimostrato che dal fatturato che è perennemente e inesorabilmente negativo.
Discorso diverso per i colossi dello shopping online, che anche se non fanno parte della categoria social network, rientrano di diritto nelle Ipo di Internet. Parliamo di eBay (quotato nel settembre ’98, nel pieno della bolla internet, con una valutazione di 1,9 miliardi di dollari, oggi ne vale 65,7) e Amazon (la migliore della categoria, era valutata 562 milioni nel ’97, mentre oggi il suo valore è lievitato a 163 miliardi).
Positivo anche il rendimento nel tempo dei due colossi mondiali della ricerca online (e pubblicità per quanto riguarda Google). Il valore di Yahoo!, il sito che inaugurò l’era dei portali internet, era pari a 848 milioni di dollari in fase di Ipo nel ’96, diventati oggi quasi 30 miliardi. Ancora meglio Google, il motore di ricerca la cui quotazione nel 2004 aveva fatto ripartire le quotazioni hi-tech dopo lo scoppio della bolla internet. Valutato nove anni fa 27,2 miliardi di dollari, anche grazie a un meccanismo di asta che aveva frenato il peso delle banche nella determinazione del prezzo di collocamento, oggi la “grande G” capitalizza 341 miliardi, dodici volte il valore iniziale.
Da questo quadro si può chiaramente tirare alcune somme. Si può chiaramente capire che le aziende che sono riuscite non solo a resistere ma addirittura a crescere e cavalcare l’onda del successo (nonostante il periodo di crisi finanziaria) sono quelle che sono riuscite a trovare un’attività stabile e sicura che rassicura gli analisti e gli operatori oltre che i propri bilanci. Google, per esempio, da semplice motore di ricerca è diventata l’agenzia di pubblicità più grande al mondo, Yahoo!, nonostante qualche problema negli ultimi anni, ha saputo suddividere il suo core business in più attività, senza tralasciare ovviamente quello principale, ossia la ricerca. Amazon e eBay sono riuscite a creare un nome, senza contare il fatto che sono dei veri e propri store (anche se virtuali) che creano un fatturato reale. Le aziende che invece sono fallite o hanno perso gran parte del loro valore, fanno parte di quella fetta di attività che non sono classificate né come fisiche (quindi produzione di beni), né come servizi (come li crea Google e Yahoo!). Prendiamo ad esempio Netscape, che non ha saputo evolversi, anche a causa di Internet Explorer, restando un semplice browser che non avrebbe certamente prodotto fatturato. Lo stesso discorso vale per Zynga e gli altri siti di giochi online. Un po’ diverso il discorso per quanto riguarda Groupon, che ha visto calare drasticamente il suo fatturato anche a causa di una cattiva gestione finanziaria.
Guardiamo ora, invece, agli ultimi nati ed entranti: i social network. Che cosa producono? che fatturato raccolgono? Che cosa offrono? Quali sono le prospettive future? Provate a rispondere a queste semplici domande e vi renderete conto a cosa sta andando in contro il mercato finanziario. Ennesima bolla legata alle Ipo internet? Non lo posso dire con certezza, ovviamente, ma il fatto che, come detto sopra, Twitter abbia un fatturato negativo e nonostante questo abbia una capitalizzazione pari a 30 miliardi, non fa certamente ben sperare. Spero di sbagliarmi ma tutto fa pensare a questo, specie se guardiamo al passato. Facebook probabilmente fa un po’ meno paura attualmente, ma siamo sicuri che il suo valore sia reale? Certo, è una sorta di banca dati, ma è nulla in confronto a quella posseduta di governi e da altre grandi aziende, come Google, Apple e Microsoft (giusto per fare tre nomi relativi al settore dell’IT). LinkedIn la vedo invece leggermente meglio, grazie al suo legame con il mondo del lavoro e al fatto che deve ancora crescere molto (e di terreno fertile, nel suo caso, ce n’è ancora molto).
Reply