Durante la pandemia di coronavirus c’è chi guadagna con il business delle mascherine e c’è anche chi ne produce senza rispettare la normativa.
C’è in particolare un’azienda cinese specializzata in produzione di tessuti in poliestere che ha visto un boom incredibile da fine gennaio ad oggi.
Miliardario con il business delle mascherine e il coronavirus
Si chiama Yu Xiaoning ed è il titolare della Dawn Polymer di Shenzhen, un’azienda quotata nei listini cinesi.
La sua sua quota di mercato nei materiali speciali, utilizzati anche nella produzione di mascherine protettive, è stimata al 40%.
Definito “il re cinese delle mascherine”, secondo il Financial Times, Mister Yu ha visto incrementare il valore della quota di controllo della sua azienda (che condivide con la moglie) di un bel po’.
Si parla infatti di oltre 13,5 miliardi di renmimbi (1,9 miliardi di dollari) nelle sei settimane successive al 20 gennaio, ossia quando scattò l’allarme generale per il coronavirus.
Il titolo della compagna di Mister Yu si è impennato del 417% durante l’emergenza cinese, prima di ridimensionarsi una volta “rientrato”, seppur parzialmente, l’allarme in Cina.
L’azienda, specializzata inizialmente nel settore dei materiali plastici, si era specializzata a fine 2003 nella produzione di tessuti in poliestere, preferendo la qualità alla quantità.
Mister Yu si è detto preoccupato non tanto per la concorrenza arrivata negli ultimi giorni, bensì “per il rischio che produttori improvvisati abbassino la qualità dei prodotti sul mercato“.
Il lato negativo: molte mascherine non sono a norma
Se Mister Yu grazie a quasi 20 anni di esperienza nel campo ha potuto produrre mascherine di qualità e in grande quantità, ora che il business è diventato alla portata di tutti arrivano anche i primi problemi.
Molte mascherine prodotte non sarebbero a norma. Pur di far arrivare mascherine in quantità, il Governo italiano avrebbe infatti permesso “la produzione e importazione in deroga dei presidi, anche senza “bollino” europeo”.
Basterebbe ora “un’autocertificazione all’Istituto Superiore di Sanità (Iss) per dichiarare il rispetto dei requisiti con successivo invio della documentazione per la validazione”.
I due centri per certificare la conformità delle nuove mascherine facciali, indicati dal decreto Cura Italia, sono i laboratori del Tecnopolo biomedicale di Mirandola e quelli dell’Ateneo di Bologna.
[su_quote cite=”professor Francesco Saverio Violante, direttore dell’Unità operativa di Medicina del lavoro del Policlinico Sant’Orsola”]Servono otto giorni per un test, tempo minimo stabilito dalla normativa, tra prove meccaniche e batteriologiche. Ho avuto pessime esperienze con i prodotti cinesi, invece, come responsabile di medicina del lavoro per tre aziende sanitarie che ne stavano valutando l’importazione: non rispondevano ai requisiti minimi di qualità, seppure certificate. Gira di tutto oggi sul mercato, ma sono solo quattro i laboratori in Europa che rilasciano certificazioni per questo genere di presìdi medici secondo gli standard Ue, non è difficile identificare i prodotti non conformi.[/su_quote]
[su_quote cite=”Giuliana Gavioli, coordinatrice del gruppo di lavoro di Confindustria Emilia-Romagna per le Scienze della vita e riferimento tecnico presso il Tecnopolo di Mirandola”]Le mascherine e i dispositivi di protezione individuale di produzione cinese, certificati per i mercati europeo e Usa, sono di buona qualità. I laboratori federali cinesi per testare i prodotti hanno una grande esperienza, che ho verificato di persona in loco, e non dimentichiamo che anche le materie prime e i Tnt (tessuto non tessuto) per fabbricare in Italia mascherine e camici arrivano dall’Asia. Poi ci sono ovunque aziende che lavorano male e contraffanno.[/su_quote]
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